La Dott.ssa Mila Riscassa risponde a quesiti relativi al D-Sesso.
Come annunciato ieri ecco il secondo articolo tratto dagli archivi di Città Ideale ed ancora incentrato sul tema della sessualità. L’Esperto risponde, ma quando i Disabili faranno realmente sentire le proprie opinioni ed esigenze?
Io ci proverò nei prossimi giorni con una auto-intervista …
Sesso “a ostacoli”?
Sei domande su un argomento troppe volte nascosto
La dottoressa Mila Riscassi è psicologa e psicoterapeuta referente dei progetti formativi esterni del consultorio familiare Anffas
D: La disabilità può porre ostacoli soprattutto nell’accettazione del proprio corpo anche come fonte di desiderio. Quale cammino psicologico può essere intrapreso per superare, o per aiutare a superare, questo scoglio?
R: La disabilità di cui da anni mi occupo è di tipo intellettivo, di diverse gravità. Innanzi tutto devo premettere che a seconda del grado di ritardo mentale passiamo da situazioni in cui c’è una coscienza integrata di sé, e quindi anche del proprio corpo (anche se in modo incompleto), ad altre situazioni in cui il corpo è solo il luogo inconsapevole del bisogno, della soddisfazione e/o della frustrazione. In questo secondo caso, nel caso cioè di handicap intellettivo grave, non possiamo parlare d’investimento corporeo vero e proprio, perché manca la competenza riflessiva su di esso.
Le persone affette da deficit meno gravi, invece, hanno sovente una consapevolezza corporea, ma sembra essere lacunosa: sanno cioè “a spanne” come è fatto e come funziona il proprio corpo. Le informazioni che hanno ricevuto durante la loro crescita, e che sono riuscite ad integrare in uno schema coerente di significato ed a mantenere in memoria, riguardano quasi sempre la parte esterna del corpo, e comunque quelle parti anatomiche che non hanno a che fare con gli organi genitali e con le funzioni riproduttive.
Quasi sempre manca la cognizione di “un interno” con funzionalità e potenzialità edonistico-procreative. Questo è il motivo per cui, quando hanno esperienze sessuali complete, le vivono in modo confuso e non tutelante: non comprendendo ciò che gli succede, non sono in grado di compartecipare in modo lucido né di proteggersi.
Le ragioni di queste mancanze sono plurideterminate. Da una parte c’è la difficoltà dei genitori nel concepire inizialmente come pensabile, in seguito come realizzabile, la possibilità di una vita affettivo-sessuale per quei figli così perennemente “bambini” sotto tanti aspetti.
Essi dunque faticano ad avviare edagevolare quel processo di conoscenza del proprio corpo, d’integrazione di esso in un’identità appartenente ad un genere specifico e d’investimento su di esso come fonte di piacere e strumento relazionale importante.
Dall’altra le persone con ritardo mentale spesso presentano anche impaccio motorio e/o deficit a livello corporeo. E’ quindi facile pensare come quel vissuto d’inadeguatezza, goffaggine, fallimento che ha origine dal costante confronto prestazionale e relazionale coi coetanei, investa la percezione di sé in modo totale.
Altre volte il corpo viene utilizzato come strumento per garantirsi la vicinanza affettiva di un partner, come succede nei casi di sfruttamento sessuale che spesso ci arrivano in Consultorio.
Il cammino che porta ad un più sano investimento sul proprio corpo parte da subito, dalle prime cure materne, attraverso l’insegnamento dell’igiene personale e del rispetto per se stessi, del riconoscimento delle esperienze propriocettive piacevoli, dell’armonico scambio tra corpi, fino alla costituzione di una competenza sul sé corporeo, perché non possiamo amare ciò che non conosciamo.
D: Secondo Lei, perché nella società attuale ad una persona disabile è negata un normale approccio alla sessualità?
R: Non credo che nella nostra società ai disabili sia totalmente negato un normale approccio alla sessualità. La capacità di autodeterminarsi sia una variabile fondamentale in questo discorso. La vita affettivo-sessuale dei disabili fisici suscita molto meno scalpore e meno preoccupazioni rispetto a quella dei disabili intellettivi.
I primi sono molto più autonomi dal punto di vista decisionale, riescono a garantirsi degli spazi di privacy in cui vivere queste esperienze, anche se con le relative difficoltà. Per i secondi invece è sovente messa in discussione la capacità di pensare ed esprimere un valido consenso all’esperienza sessuale stessa, e questo mette tutti in allerta.
E’ il non sapere se per loro è un bene o un male vivere questa esperienza che ci rende socialmente più timorosi nel renderla possibile. Anche pensando in prospettiva al futuro di una relazione amorosa tra due disabili intellettivi, siamo ancora molto impreparati nel predisporre realtà abitative che supportino tale evoluzione.
Il riconoscimento dello status di “adulto” per un disabile dovrebbe essere un punto di arrivo non solo per i percorsi professionalizzanti e di emancipazione abitativa, ma anche per quanto riguarda la crescita affettivo-sessuale.
D: Il sesso a pagamento, certamente non appagante sotto un profilo puramente affettivo, rappresenta l’estrema ratio per poter ovviare a ciò che offre, seppur in modo pregnante, l’amicizia. Perché tanta fatica per un amore normale?
R: Come per chiunque, la sessualità acquisisce un significato molto differente se vissuta, o no, all’interno di un rapporto affettivamente investito. A volte la possibilità, le competenze, le opportunità per costruire tale legame sono scarse, e si ricorre quindi al “sesso a pagamento”. E’ un compromesso.
Personalmente credo che l’obiettivo di chi si occupa di persone disabili debba essere quello di aiutarle ad aumentare le competenze relazionali e le opportunità socializzanti affinché si strutturino rapporti affettivi (non solo o per forza amorosi), tenendo conto che i compromessi fanno parte della vita di ciascuno di noi. Non penso sia utile mirare sempre “all’ideale”, piuttosto credo sia necessario concentrare gli sforzi per ottenere il meglio possibile nella situazione contingente.
D:Il ricorso da parte di una persona disabile al sesso a pagamento è sovente visto come una soluzione negativa. Possiamo davvero considerarla inaccettabile, anche alla luce di analoghe iniziative, addirittura a livello pubblico, nate in altri Paesi europei quali Svizzera e Olanda?
R: Ripeto, è un compromesso. Non può e non deve essere “la soluzione”, ma nei casi di handicap molto gravi è l’unica possibilità per permettere una sessualità relazionale. L’etica e la morale personale poi influenzano moltissimo il giudizio su questo argomento.
D: Nell’attuale scenario sociale che vede la rappresentazione dell’ideale femminile con stereotipi di perfezione fisica e di straripante carica erotica, quale percorso può affrontare una donna disabile per potersi relazionare serenamente con un uomo normodotato?
R: Nella tipologia di handicap di cui io mi occupo, la relazione tra una donna disabile ed un uomo normodotato non è percepita così serenamente, come si può immaginare. Il rischio di “vizio di consenso” e di sfruttamento sessuale non può non mettere in allarme sia i familiari della giovane donna che gli operatori. E’ una relazione troppo sbilanciata in termini di capacità, indipendenza, potere. Diverso invece è il discorso quando la coppia è formata da due persone con capacità non troppo differenti.
In questo caso la relazione stessa, l’affetto reciproco, la solidarietà, la progettualità nel tempo, la constatazione graduale del desiderio dell’uno verso il corpo dell’altra, possono fungere da fattori di riparazione rispetto ad un’immagine di sé deficitaria. “Se piaccio a lui, allora vuol dire che valgo”, questo è il concetto, ed è reciproco ed universale. Tutte le relazioni sentimentali, se coerenti ed equilibrate, riparano le nostre ferite narcisistiche, fin dove è possibile. Ma facciamo un passo indietro. Le giovani disabili possono oggi usufruire di percorsi educativi/formativi in cui imparano ad essere più competenti rispetto al proprio corpo, e questa maggiore competenza porta con sé un crescente investimento su di sé, ed il desiderio di prendersi cura della propria femminilità.
La presa in carico psicologica può aiutare ad elaborare il lutto di una perfezione tanto pubblicizzata ma impossibile (anche per le adolescenti normodotate) da realizzare, ed a riportare il focus sull’individuo globale e reale. Infine i percorsi con le famiglie possono agire in modo preventivo, fornendo strumenti che facilitino quel progressivo senso di integrità personale.
D: Papa Giovanni Paolo II, in uno dei documenti vaticani dedicati all’handicap, affermò la sessualità come una delle dimensioni costitutive della persona nella sua totalità, attraverso la quale si realizza la ricerca di relazioni autentiche, e nella quale poter soddisfare l’umano bisogno di affetto, tenerezza, intimità. È, quindi, la sessualità che va riconsiderata in una visione più globale?
R: Senza dubbio. Teniamo presente però che nella vita reale ognuno di noi deve, a volte, scendere a compromessi. Anche le persone disabili. Il problema che qui si pone è che spesso ci sentiamo come se fossimo noi (operatori e/o familiari) a dover decidere per loro (e a volte è davvero così), ed utilizziamo i nostri schemi valoriali, di cui è necessario essere molto coscienti. L’approccio rispettoso alla sessualità dei disabili è un delicato, flessibile e mai uguale equilibrio tra la legittimazione dell’espressione dei bisogni individuali di intimità affettiva e il rispetto del benessere della persona stessa.
Mila Riscassi
Partecipa
3 commenti
Egreg. Sig. Mila
Mi permetto di scriverle due righe : Sono l’autore di ” Cercasi ragazza con Grinta ”
Ho letto con attenzione il suo articolo varie volte, è il mio pensiero è questo :
Le ragazze d’oggi, sempre in parola di disabilità o invalidità fisica, sono chiuse nel proprio guscio, come d’altronte lo sono stato io a suo tempo, uscitone però grazie ad
amici, parenti, genitori e non di meno, un posto in società (il lavoro ), e le assicuro che non è stato facile, ma la parola chiave e esporsi x come si è, se no non si uscirà mai dal proprio guscio che ci siamo creati.
Ora mi domando : è mai possibile che nessuna ragazza abbia almeno risposto o con un appunto o con un disappunto al mio breve articolo ?
Siamo sulla stessa barca d’altronte, quindi invito a rispondere almeno x una loro opinione.
Mio Identikit : Sono di origine siciliana, vivo a Torino dalla nascita, figlio di operai onesti che mi hanno lasciato la propria casa, x andare ad abitare fuori città, sempre nelle vicinanze, e lasciarmi a gestire la mia vita credendo in me.
Io ho vissuto con le suore, perchè loro lavoravano, ma la sera eravamo sempre tutti insieme nell’armonia, anche se i periodi brutti non mancavano mai.
Il mio problema è stato causato dalla nascita, come accade ancora oggi, ma col tempo
sono migliorato a tal punto da credere in me è alla forza che il Buon Dio continua a darmi. Nella sfera sessuale, vado settimanalmente con una lucciola, sempre la stessa,
all’inizio ero contrario, ma ho dovuto farlo x il mio bene, infatti ora mi sento meglio, ma spero di smettere presto ed avere vicino a me una donna x la vita.
In tema di lucciole, sono donne speciali che meritano il massimo rispetto e ripensando
a Don Benzi, spero che dal alto mi perdonerà.
Lavoro nel settore commercio in una grossa azienda di pubblicità, e spero di restarci fino a che il Buon Dio me lo permetterà.
Grazie
Ps : Se lo vuole pubblicare, la prego di aggiustare l’articolo in modo più chiaro è
comprensibile.
Francesco P.
Gentile dr.ssa Rigassi,
immagino che nella sua esperienza abbia assistito ad una tale diversità di casi che l’approccio pragmatico e la ricerca di un compromesso ragionevole, siano le principali armi che ristabilizzano situazioni insostenibili che si protraggono da anni. Non dubito che anche le persone normo-dotate dovrebbero imparare la lezione, e continuare a desiderare le cose che già hanno, senza lasciarsi conquistare dagli stereotipi del costume. Ma a mio avviso, la velata indicazione che ci dà, accontentatevi di una relazione con una persona con una disabilità come la vostra, non è accettabile.
Se nel processo di autodeterminazione “classificate” una persona disabile come un “successo”, quando ha raggiunto un certo margine di autonomia ed un lavoro. Perchè attribuirgli solo “il desiderio di integrazione” quando si cerca di allacciare una relazione con una persona normo-dotata, se avete svolto un buon “lavoro” non vedo perchè cercare di dissuaderlo solo perchè sarà l’ennesima frustrazione.
Credo che il peggior sbaglio che un normo-dotato possa commettere, sia quello di pensare che i desideri di un disabile siano diversi dai propri.
gent.ma Dott.ssa Rigassi,
sono un ragazzo gay e le vorrei porre alcune domande:
che genere d malattie si possono prendere con il limonare e con il farsi fare un pompino senza profilattico.
( la saliva che malattie puó trasmettere?)
nel 93 ho fatto il vacino conto le epatite b. Dalle ultime analisi del sangue non risulto avere l epatiteb ma neanche gli anticorpi. Nel paese straneiro in cui mi trovo mi hanno consigliato di rifare il vacino ( io pensavo che durasse per tutta la vita)
grazie
francesco