Mezz’ora davanti al supermercato.
Ricevo da Carlo Mariano Sartoris alcuni testi che leggerete certamente tutti. Il primo che vi propongo è “Mezz’ora davanti al supermercato”. La cronaca di un’esperienza vissuta che ripropone attraverso la sua storia il problema di chi abusa dei parcheggi riservati ai Disabili.
Una lettura racconto da non perdere scritta da un grande Novelliere.
Mezz’ora davanti al supermercato
Sabato 1° settembre, ore 19: non vi è il posto per me, ma un buco è libero. Una manovra e siamo parcheggiati. Gli spazi riservati ai disabili sono tutti occupati, a quest’ora la gente ha premura e i posteggi con la riga gialla sono i più vicini all’ingresso del supermercato. Resto in macchina, non posso scendere con facilità, mentre aspetto la mia compagna che è andata a comperare, contemplo in giro. Nei parcheggi riservati ai disabili sostano: una Opel Tigra, una Ford grigia, un furgone bianco e… una grossa motocicletta rossa!? Sorrido, non ci faccio quasi più caso. Sostare mezz’oretta davanti al supermercato è un’esperienza formativa, fluiscono famiglie d’ogni razza e paese, si ascoltano idiomi di popoli lontani ormai vicini, parte di noi. Nei piazzali dei grandi magazzini si concentra l’insieme della nostra società e io, seduto in macchina osservo la gente che viene e va, guardo le auto passare.
Entra una bella signora elegante, ha molta fretta, esce un anziano dal volto buono, mentre fuori, giovani di origine lontana, confabulano sbirciando furtivi attorno, fumano molto, buttano cicche in terra. I parcheggi dei disabili sono ancora pieni, guardo la moto e calcolo il livello d’invalidità del suo pilota. Nel mentre, esce il giovanotto, s’infila il casco e và.
Sono in un punto strategico, lì transitano auto d’ogni prezzo, forma e colore. Dentro, volti solitari che guidano svelti, una coppia di anziani nella fedele Fiat Uno, macchine piene di gente. Parcheggia una vecchia Golf zeppa di allegri uomini di colore. Hanno la musica a tutto volume, sono alti e atletici, li invidio quando mi passano davanti.
Dal supermarket escono due ragazzi dall’aspetto sinistro, hanno un fare arrogante, non sono italiani. Saltano sulla Opel sistemata nello spazio disabili e sgommando vanno via. Il posto è libero, subito s’infila una Panda. Ne esce una bella donna bionda, veste elegante, forse griffato. Non è male la signora, sono davvero contento che non sia afflitta da alcun handicap. Anche la Ford parte, liberando il posto. L’ho guardata riempirsi d’un nugolo di islamici, le due donne portano il velo, i bambini sono tanti, l’uomo che guida ha un vestito bizzarro. Il buco è preda d’un’altra Ford, stesso drappello, stessi veli, stessa auto, cambia il colore, questa è nera. Scendono, paiono tutti in salute, meno male!
Io, paralitico per davvero continuo a guardarmi attorno, potessi muovermi non lo farei, sarei anch’io a camminare da qualche parte. Passa una Mercedes guidata da un cinese, è nuova di zecca, bella macchina! Subito dopo, un’utilitaria, dentro, un volto di una persona perbene, chissà perché mi pare così. Sono trascorsi venti minuti, ho visto entrare e uscire un centinaio di esseri, ognuno con gli occhi tra i propri pensieri, ho valutato i gesti, sovente lesti e nervosi, ho ascoltato lingue sconosciute, nessun dialetto di questo lembo d’Italia del nord ovest. Un posteggio per disabili è rimasto libero, s’infila una Punto. Ne esce una corpulenta madama asiatica, cammina molto bene, sculetta.
Carrelli carichi di merci e sospinti da nativi d’ogni parte del mondo, entrano ed escono dribblando le auto, qualcuno ride, qualcun altro litiga, mentre un altro getta carta per terra. Sarà suggestione, ma sento aleggiare un’aria che non riesco a identificare. Sono spettatore d’un caotico, sgarbato individualismo internazionale in cui la gente si sfiora e non si vede, esiste e non lo sa, non sa che esisto e non mi vede. Continuano a passare auto d’ogni marca e d’ogni età, arriva una Porsche, trova posto di fianco a me, come la coppia che ospita, è bellissima, odora di milioni; in mezzo a tante carrette quasi stona. Il furgone bianco non c’è più, ero distratto. Un altro parcheggio per disabili si è liberato. Chi sarà il prossimo fortunato? È la Renault d’una famigliola, riconosco un dialetto italico, la mamma cala lenta, è grassa, forse è un handicap da considerarsi tale.
La mia compagna torna, ma le propongo di non andare subito via e fermarsi un po’ a guardare, cercare di capire cosa mi sfugge. Non so come spiegarle la strana sensazione d’una perdita ormai definitiva di un’antica identità. Quando si riparte ho un insolito disagio addosso: i parcheggi riservati ai disabili sono un’icona, un luogo d’appartenenza al collettivo, un punto d’integrazione fatta di praticità, sono un atto logico di civiltà. Siamo noi disabili i primi “diversi” di codesta società. Non rispettarli così palesemente in multirazziale massa avida di diritti ed esente da doveri, è il barometro del tempo che verrà. Parcheggi riservati; qualcuno li ha meditati con coscienza, ma noi, voi, essi, popolo d’un nuovo mondo dove tutto è permesso, li ignorano impuniti. È un piccolo indizio che esibisce un vasto nucleo emergente, qualunquista, sfrontato, grezzo e decadente.
E in quel momento, dopo mezz’ora davanti al supermercato, ho pensato al resto.
Povera Italia tutta, Bel Paese frutto di garibaldini ideali e lunga, faticata storia; asfaltato, svenduto, inquinato e sporco, terra bruciata, terra invasa e indifesa, terra di mafia, discariche, scandali, ambiguità, basso tasso di natalità, auto, telefonini… Terra di gente sempre più sedotta, timorosa, disarmata, corrotta, popolo senza più fede, orgoglio, né nerbo, devoluto a cedere il passo a chi lo farà, per cultura e opportunità, non per crudeltà.
Mio padre m’insegnò a non buttare neppure una cicca per terra, questione di rispetto per il suolo e la gente, gesto di buona creanza e amor proprio. A casa, seduto sulla sedia a rotelle, ho pensato al suo volto sapiente e severo, mentre l’imbrunire calava sui profili delle Langhe, morbidi colli che amava. Alture che custodiscono vecchi mestieri ed arti, tradizioni, antiche abilità, cronache di lotte e resistenza, misteriose leggende di masche. Forse sono solo un nostalgico idealista, figlio invalido d’un tempo passato, ma le colline, che tutto sanno e vedono, mi sono parse tristi.
Carlo Mariano Sartoris
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