Di Aldo Maria Arrigoni è “Una esperienza vissuta di collocamento obbligatorio (Legge 68/99)”.
La Libera Università SDA Bocconi di Milano ha promosso un Progetto Ricerca sulla legge 68/99 e lo scorso 17 Ottobre Aldo Maria Arrigoni ha tenuto un discorso che oggi vi propongo.
È una lettura estremamente interessante, una storia personale più che un discorso, un valore incrementato dall’esperienza diretta e dall’esperienza di chi ha vissuto i due Diversi mondi: Disabili e Normaloidi.
Non Perdetevi le parole di Aldo Maria Arrigoni!
Una esperienza vissuta di collocamento obbligatorio (Legge 68/99)
Sono Aldo Maria Arrigoni, ho 54 anni, sono di Milano.
Per ventun’anni ho ricoperto il ruolo di sales & marketing international manager di beni industriali – macchinari siderurgici, macchine utensili high tech -finché nel 1996 ho dovuto accettare lo stato dell’arte della mia disabilità, perché gli allora 15 anni di Sclerosi Multipla (oggi sono già 26) incominciavano ad impedirmi una deambulazione normale; conseguentemente l’Azienda, con molta simpatia, mi ha incentivato le dimissioni. Mi sono quindi iscritto alle liste di legge per il collocamento obbligatorio dei disabili, più che altro per valutare il grado di risposta della pubblica amministrazione alle richieste del pubblico più debole, e perché non si sa mai che qualcosa di interessante possa venir fuori. Ho ottenuto due risposte:
- commissione medica lavoro/disabili: “lei è troppo per trovarle un lavoro adeguato” (una laurea in Scienze politico/sociali più un PH Doctorate USA in marketing management con quattro lingue parlate e 21 anni di management evidentemente superavano i loro limiti).
- commissione per l’invalidità (stabilisce la percentuale ed il livello di residua capacità) che mi ha dato il 100% di totale e permanente inabilità al lavoro. (Nota: la pensione di inabilità è pari a circa € 270,00/mese che a me non pagano perché mi danno la pensione di anzianità per i contributi pagati, anticipata in quanto disabile; è tutto quello che ricevo dal Wellfare state).
Ne sono uscito con enormi dubbi sul mio futuro, perché a 43 anni mi sentivo ancora in grado di fornire il mio contributo al paese Azienda, che mi emarginava in quanto non deambulante. Mi sono trovato di fronte a scelte spiacevoli, ma ho una famiglia deliziosa che vive con me con lo stesso affetto iniziale, se non addirittura accresciuto, e che ha bisogno di un marito e padre, e non solo dal punto di vista economico. Ho quindi cercato di guardare avanti senza pietismi, prendendo esempio da chi sta peggio di me ed è attivissimo (nell’ambiente della disabilità vi sono alcuni personaggi di alto livello da cui c’è solo da imparare). Ho tentato di affrontare la malattia in maniera positiva, con il farmaco che mi ha dato il San Raffaele undici anni fa, che è riuscito a fermarne la progressione al livello di otto anni fa, con un regime nutrizionale adeguato, con fisioterapia, con attivismo (l’ergoterapia), con amore per tutto quello che ci viene donato quotidianamente. Il risultato mi viene riconosciuto dalle persone che frequento, dai medici del San Raffaele, dall’impegno sociale e politico. Oggi senz’altro la risposta di quell’Azienda sarebbe diversa, sulla malattia si sa molto di più, il mio caso dimostra che è arginabile e convivibile. Anzi, un impegno lavorativo può essere terapeutico (ho parlato di ergoterapia), almeno nelle difficoltà psicologiche e relazionali che derivano da una malattia neurologica. Forte di quelle risposte delle commissioni, originate da ben due diversi gruppi di cinque medici ciascuno (medici pubblici!), mi sono presentato anni fa al presidente pro tempore della Provincia di Milano, con cui avevo già lavorato all’Assessorato ai servizi sociali, per chiedere delle risposte. Ho ottenuto tanta simpatia e solidarietà e stimolo verbale a proseguire, a non mollare mai … Niente di più. Mi sono quindi avvicinato ai corsi per disabili del Fondo Sociale Europeo, pensando che un uomo con una certa cultura, una certa esperienza, per di più in carrozzina, avrebbe potuto ottenere qualche risultato. Ho quindi diretto alcuni corsi FSE per disabili (Computer graphic, ECDL, Photoshop,..) non perché esperto di informatica, ma solo come manager rispettabile e con il carisma di chi parla da una carrozzina. (Per essere chiari, per me la carrozzina è solo come mezzo di trasporto). Durante i corsi, per la legge 68/99, presentavo alle Aziende in obbligo di assunzione, dei futuri professionisti nella materia del corso, che IN PIU erano disabili. La disabilità veniva presentata come un plus e non una limitazione, plus anche economico, visti i vantaggi contributivi e fiscali che derivano dall’assunzione di un disabile con almeno il 46% di invalidità. Risultato: il 75% circa sono stati assunti, con reciproca soddisfazione loro e delle Aziende. Ho confrontato questi risultati con le misere burocratiche risposte delle commissioni mediche che ho testé citato e ne ho parlato durante un convegno del Laboratorio Armonia sulla Malattia in Azienda. Ero stato preso come modello interessante “caso clinico”, di come si possa tentare di essere attivi “nonostante” anche all’interno di un’Azienda. Siccome mi piace parlare in pubblico, mi hanno dato libero sfogo in più sessioni. Dal che, qualcuno ha pensato che valeva la pena di approfondire l’argomento della L 68/99, con la visione dal punto di vista delle Aziende, e non delle mamme, che hanno una visione assistenzialpietistica. L’idea è quella di ribaltare un concetto, universalmente considerato negativo -la disabilità -, in opportunità di utilizzo anche economico delle residue capacità, e non solo per ottemperare una legge di Stato e non pagare le multe. Oggi si parla di business and disability, ci sono convegni, relazioni, per trovare il modo di utilizzare quella nicchia di alcune centinaia di migliaia di persone che ancora potrebbero produrre reddito se utilizzate nelle forme e con i metodi più adeguati, per il cui studio è necessario coinvolgere anche i disabili. C’è una frase che circola come leit motiv: “niente per noi senza di noi”. Vuol dire: provate a chiederci cosa si può fare per renderci più efficienti, produttivi, efficaci. Questo per dire che la disabilità deve essere produttiva, efficiente, profitable, più o meno come tutte le forme di produzione di reddito, fatte salve le evidenti e debite limitazioni, anche per ridurre in tal modo i costi dell’assistenza del Wellfare state. Sulla base di queste considerazioni, si sta svolgendo la ricerca del laboratorio SDA BOCCONI cui prendo parte attiva, e che produrrà un libro in primavera 2008, utile alle aziende per trarne spunti e soluzioni al “problema” dell’obbligo di assunzione.
Aldo Maria Arrigoni
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